Il paesaggio è al centro di un problema epistemologico. L’apparire insistente, negli ultimi trentacinque anni, di studi e monografie sul paesaggio non risponde soltanto a una moda. Piuttosto è la moda che va letta come il riflesso di una nuova consapevolezza: la riflessione artistica, filosofica, scientifica, politica del XXI secolo non può e non deve fare astrazione dal nostro ambiente di vita. La ragione è semplice. Il paesaggio ci interessa per la prima volta sotto due aspetti cruciali: da un lato è il soggetto delle nostre preoccupazioni ecologiche, dall’altro è un modello concreto di pensiero complesso, a macchie di crescita. Certo la riflessione sulla natura non è nuova, è legata ad archetipi che ci accompagnano da sempre, e in questo cammino verso le radici, quelle che ci legano antropologicamente e mentalmente alla terra, il poetico gioca un ruolo fondamentale. Gaston Bachelard era convinto che «il vero dominio per studiare l’immaginazione non è la pittura, è l’opera letteraria, è la parola, la frase», ma è anche vero l’opposto, e cioè che una poesia energica, radicata alla terra, può riattivare il nostro immaginario disorientato. Tra questi due poli di esplorazione esiste una vasta mappa di possibili. L’idea è quella di montare un laboratorio di paesaggio per cominciare una nuova cartografia.